Attenzione a "restituire" prestiti ai parenti. Corte d'Appello di Venezia, sent. 5514/20
- albertonegrivr
- 29 dic 2020
- Tempo di lettura: 5 min
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E’ proprio vero che ogni buona azione non resterà impunita. Il caso è il seguente: Tizio e sua moglie chiedono a Caio, marito della sorella di Tizio, un prestito allo scopo di poter ristrutturare casa. Caio e sua moglie, imprenditori e soci ex aequo di una società attiva nel settore calzaturiero, acconsentono e prestano tale somma, che sarà poi puntualmente restituita nelle mani della moglie di Caio, il quale nel frattempo era assente dall’Italia per gestire in Ungheria la propria attività di impresa.
Tutto bene. Sennonché, a distanza di 7 anni, Caio - che nel frattempo si è separato dalla moglie - chiede a Tizio (e alla moglie di quest'ultimo) la restituzione delle somme prestate (e già restituite), citandoli in giudizio.
Il caso è emblematico di quella che si potrebbe definire “eterogenesi dei fini”, ovverosia di tutte quelle ripercussioni che sorgono dopo tragiche e logoranti separazioni coniugali, che portano anche a colpire parenti che nulla c’entrano con la separazione al solo fine di danneggiare l’ex coniuge.
Il caso è anche emblematico dei diversi istituti giuridici che entrano in gioco.
In primis, l’art. 1292 c.c. per il quale tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione e l'adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori. E’ la c.d. solidarietà attiva. Questa tuttavia non si presume mai, ma sussiste solo se la prevede la legge o un titolo negoziale.

Che cosa significa? Significa che, in assenza di una pattuizione espressa tra le parti in tal senso, il debitore che paga uno dei creditori non è liberato nei confronti degli altri creditori. E allora? Allora il debitore, per liberarsi dall’obbligazione, dovrà pagare ciascuno dei creditori pro quota. Nel nostro caso, Tizio avrebbe dovuto restituire il prestito a Caio e alla moglie pro quota.
Ma “ci sarà pure un Giudice a Berlino” [1] che possa comprendere che il povero Tizio ha restituito puntualmente tutta la somma prestata, anche se nelle mani della moglie di Caio, che era peraltro all’estero per seguire la propria attività imprenditoriale.
Così la Corte d’Appello di Venezia, Sez. II, con la sentenza n. 5514/20, ha ritenuto di dare ragione proprio al povero Tizio facendo corretta applicazione dell’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui, ai fini della ricorrenza della solidarietà attiva, proprio “ai sensi degli artt. 1292 e 1294 c.c., non sono necessarie clausole espresse in tal senso o formule sacramentali, ma può accertarsi, dal titolo, la volontà delle parti di attribuire a ciascuno dei creditori il diritto di pretendere l’adempimento dell’intera obbligazione, con effetto liberatorio anche nei confronti degli altri creditori” (cfr. ex multis, Cass. civ., Sez. III, 06.08.2010, n. 18362 in Giust. Civ. Mass. 1985, 1).
Dunque, la stessa interpretazione del titolo negoziale – un contratto sottoscritto da entrambe le coppie di coniugi, ossia da entrambi i nuclei familiari, ben individuati in modo distinto e contrapposto: da un lato, Tizio e moglie e, dall’altro, Caio e moglie – si evince la volontà di far ricorso al principio della solidarietà attiva, vale a dire la volontà di restituire le somme prestate ad entrambi i coniugi, ossia, per meglio dire, di attuare la restituzione da un nucleo familiare ad un altro, il che altro non significa, tradotto in termini giuridici, di far ricorso alla solidarietà attiva. In altre parole, la considerazione contrapposta, nella scrittura contrattuale, dei due nuclei familiare, indivisibili e separati, manifesta, secondo la Corte, la volontà di far ricorso proprio al principio di solidarietà attiva, vale a dire la possibilità per i condebitori di estinguere la propria obbligazione corrispondendo a uno dei concreditori la prestazione pattuita, proprio alla luce della natura e della considerazione delle parti contraenti. Conseguentemente, e con buona pace del Tizio tradito, il Giudice d’appello ha applicato correttamente gli artt. 1292 e 1294 c.c., ricavando la solidarietà attiva dal titolo negoziale, senza però necessità di dizioni espresse e/o formule sacramentali, come da insegnamento della giurisprudenza di legittimità.
Inoltre, in via secondaria, la Corte ha rilevato come il caso di specie possa anche essere visto come un’ipotesi di legittimazione ad incassare un credito.
A tal proposito, è stato osservato dalla più attenta dottrina che, in ambito familiare, gli atti di adempimento dell’obbligazione di restituzione del tantundem sono volti essenzialmente a conservare il patrimonio familiare, reintegrandolo nella sua consistenza economica. Infatti, “il coniuge è legittimato ad agire disgiuntamente, anche per l’intero ammontare della somma e delle cose date a mutuo, per compiere atti conservativi del credito, quali la richiesta di pagamento. E anche per quanto riguarda la legittimazione a ricevere l’adempimento si può riconoscere disgiuntamente a ciascun dei coniugi” (TALONE, La dazione in mutuo, in La comunione legale, a cura di C.M. BIANCA, tomo I, Giuffré, 1989, 194).

Pertanto, anche da questa prospettiva, deve concludersi che Tizio ha adempiuto correttamente alla propria obbligazione, restituendo le somme nelle mani della moglie di Caio, anche disgiuntamente dal marito, in quanto atto di ordinaria amministrazione volto a conservare il patrimonio familiare reintegrando lo stesso nella sua consistenza economica, con la conseguenza che l’obbligazione deve ritenersi estinta con efficacia solutoria nei confronti di entrambi i coniugi.
Una ultima annotazione. La Corte veneziana non ha ritenuto di spingersi fino a configurare il caso come pagamento a rappresentante del creditore apparente, figura civilistica molto particolare e delicata da provare giudizialmente, anche se un maggiore coraggio poteva essere prestato in un caso come questo.
L’art. 1189 c.c. riconosce infatti effetto liberatorio al pagamento fatto dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, tale norma si applica, per identità di ratio, non solo all’ipotesi di pagamento effettuato al creditore apparente, ma anche al caso in cui il pagamento venga effettuato a persona che appare legittimata a riceverlo per conto del creditore (cfr. Cass. 28.7.1983 n. 5215, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 7; Cass. 11.5.1987 n. 4326, in Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 5; Cass. 22.5.1990 n. 4595, in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 5; Cass., 08 febbraio 2007, n. 2725, in Giust. civ. Mass. 2007, 2; Cass., 27 ottobre 2005, n. 20906, in Giust. civ. Mass. 2005, 10).
Per la configurabilità di tale fattispecie si richiede la sussistenza dei seguenti requisiti: l’apparenza della legittimazione in capo al ricevente; la buona fede del debitore, che si concretizza nell’ignoranza incolpevole della mancanza di legittimazione del ricevente; un comportamento colposo del creditore.
Tutti requisiti che potevano certamente essere riscontrati nel caso che ci occupa, posto che l’apparenza della legittimazione in capo al ricevente era chiaramente data dallo status di coniuge; la buona fede del debitore che, nell’assenza di Caio dall’Italia, ha confidato nel fatto che sua moglie fosse legittimata, per conto di quest’ultimo, a ricevere tutti i pagamenti; ed infine il comportamento colposo del creditore poteva ben essere individuato nella circostanza che Caio non ha mai fornito alcuna prova di dove effettuare i pagamenti in sua assenza.
[1] L'espressione "Ci sarà pure un giudice a Berlino" oppure "esiste dunque un giudice a Berlino" è stata mutuata da un'opera di Bertold Brecht nella quale si narra la storia di un mugnaio che lotta tenacemente contro l' imperatore per vedere riparato un abuso. La storia è la seguente. A Potsdam, vicino Berlino, l'imperatore Federico II di Prussia voleva espropriare il mulino di un mugnaio per abbatterlo. Si trattava chiaramente di un abuso in quanto il motivo consisteva nel fatto che il mulino danneggiava il panorama del suo nuovo castello di Sans Souci. Pur di averla vinta, l'imperatore non esitò a corrompere tutti i giudici e tutti gli avvocati a cui il mugnaio si rivolgeva. Con grande tenacia, il mugnaio riuscì a trovare un giudice che lo aiutò a vincere la causa. Ecco perchè si usa l'espressione per dire che, alla fine, la giustizia trionfa comunque.
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