FAVOLE GIURIDICHE. IL LUPO E LA VOLPE AL TRIBUNALE DELLA SCIMMIA. Di Elisa Bastianello, avvocato
- albertonegrivr
- 24 apr 2021
- Tempo di lettura: 2 min
N̲u̲g̲a̲e̲
Un Lupo, che accusò di ladreria
una Volpe birbona sua vicina,
o vera o falsa che l’accusa sia,
davanti al tribunal d’una Bertuccia
senza tanti avvocati la trascina.
A memoria di scimmia imbroglio simile
giammai non s’era visto, anzi si dice
che a distrigare il bandolo,
la Bertuccia sudò quattro camicie.
Dopo molte proteste e grida e repliche,
il giudice, ch’è vecchio del mestiero,
– Basta, – risponde lor, – o falso o vero,
pagate entrambi e che la sia finita.
Tu, Lupo, paga, perché fai figura
d’accusator bugiardo,
e tu, perché sei ladra di natura -.
Pensò la Scimmia, a torto od a ragione,
che il luogo dei birbanti è la prigione.
La favola è un genere letterario tra i più antichi.
Si tratta di un racconto breve, per essere meglio memorizzato, con protagonisti animali, solitamente coinvolti in vicende che li contrappongono tra loro, in rappresentazione della atavica tensione tra il bene ed il male.
Luogo e tempo sono indefiniti, cosicché la vicenda possa adattarsi a qualsiasi epoca.
Lo scopo della narrazione è didascalico e quindi volto a trasmettere un messaggio serio ad un pubblico indistinto; viene perciò utilizzato un linguaggio semplice e comprensibile a tutti. Le favole erano diffuse in tutte le civiltà antiche e venivano tramandate oralmente.
Tra i più noti scrittori rammentiamo Esopo (600 a.C.) schiavo greco di origine frigia, e Fedro ( I sec. d.C.) liberto dell’imperatore romano Augusto.
Gabriella Moretti, professoressa di Filologia latina e scrittrice, nel saggio “Lessico giuridico e modello giudiziario nella favola Fedriana” (Rv. Maia-1982), riferendosi al conflitto tipico della favola, osserva che questo «assume spesso in Fedro le movenze di uno scontro giudiziario, talvolta davanti ad un vero e proprio tribunale, favorendo così l’ingresso nel lessico fedriano di termini giuridici” .
Prosegue la Moretti evidenziando come l’impianto favolistico porti il lettore ad immedesimarsi nel ruolo del giudice, attraverso l’uso della morale.
Nella vicenda de “IL LUPO E LA VOLPE AL TRIBUNALE DELLA SCIMMIA”, scritta da Esopo e rivisitata da Jean de la Fontaine (1669), l’autore segue quasi pedissequamente la ritualità processuale.
Il lupo accusa la volpe di furto, e quest’ultima afferma di non saperne nulla (Lupus arguebat vulpem furti crimine, negabat illa se esse culpae proximam).
La vicenda viene esaminata da un giudice: la scimmia, che dopo aver ascoltato le discussioni delle parti (uterque causam cum perorassent suam), pronuncia la sua sententia.

L’istituto giuridico rappresentato è, evidente, il furto di res mobile altrui contro la volontà del proprietario, ovvero il furtum nec manifestum, del diritto romano, che consiste nella sottrazione della cosa di altri senza che vi sia la sorpresa in flagrante del ladro.
L’actio furti spettava al proprietario che poteva citare in ius il presunto ladro per chiederne la condanna.
La pena prevista era una sanzione pecuniaria, consistente nel pagamento del doppio del valore della res al momento del furto.
Nella favola si nota come la sentenza del giudice-scimmia sorprenda il lettore per la duplice condanna delle parti (Tu, Lupo, paga, perché fai figura d’accusator bugiardo, e tu, perché sei ladra di natura).
Tale diacronia risulta necessaria affinchè la favola possa estrinsecare il proprio insegnamento-morale: chi è solito mentire, non verrà mai più creduto sincero.
Elisa Bastianello, avvocato in Vicenza
Elisa Bastianello, avvocato del Foro di Vicenza, si occupa prevalentemente di diritto civile, contrattualistica, responsabilità civile contrattuale ed extracontrattuale, diritto bancario e finanziario e tutela del contribuente. Nel corso degli anni ha acquistato competenza nel diritto di famiglia, anche nei suoi profili penali. Collabora con uno studio associato di Vicenza.
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